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1

Presero il treno della Tokaido Line che partiva dalla stazione di Fujisawa, viaggiando per un’ora verso ovest — circa trentuno miglia. Vagoni color argento con due strisce che li circondavano — una verde, una arancione — li fecero viaggiare per la prefettura di Kanagawa fino alla prefettura di Shizuoka nella città di Atami, famosa per le sue terme.

Erano appena le sette di sera.

Dovevano sapere.

Cosa stava succedendo a Mai?

Chi poteva vederla? Chi ancora la ricordava?

All’inizio, pensavano che questi sintomi della Sindrome dell’Adolescenza fosse concentrati direttamente su Mai. La domanda ora era la portata di questo fenomeno che la faceva tanto soffrire. Fino a dove arrivava?

Venendo qui, sono scesi dal treno alle stazioni di Chigasaki e Odawara, ma nessuno sembrava notare Mai.

Sakuta chiese ad alcune persone di lei. “Eh?” “Chi?” “Mai sentita nominare.” “Non conosco i giovani.” Nessuna risposta positiva. Quando raggiunsero la stazione di Atami, tentò di nuovo ma non cambiò di molto.

Sembrava come se tutti avessero dimenticato di Mai Sakurajima. Come se non l’avessero mai conosciuta.

Mai fissava tutti con uno sguardo impassibile. Non c’era una minimo traccia di sorpresa, dolore, o paura nella sua calma che sembrava come la superficie liscia e indisturbata di un lago.

Sulla banchina della stazione di Atami, Sakuta guardò il cartello luminoso che mostrava gli orari dei treni.

Dovettero cambiare treno per andare sempre più lontano, anche se erano ancora sulla Tokaido Line. Il treno che presero qui fece la sua ultima fermata ad Atami. Lui sapeva che c’era un treno per Shimada alle 19:11. Non aveva idea di dove si trovasse o addirittura in quale prefettura. Ma dalla mappa della linea ferroviaria, sapeva che era più ad ovest di Shizuoka. Era abbastanza.

Sei minuti prima che il treno parta. Avevano poco tempo.

“Chiamo mia sorella” disse Sakuta.

Raggiunse la cabina telefonica vicino il negozio della stazione. Introdusse una monetina e alzò la cornetta. Dopo aver digitato il numero, sentì gli squilli.

Dopo un minuto, rispose la segreteria telefonica.

“Kaede, sono io.”
Kaede non rispondeva mai alle chiamate se non a quelle di Sakuta, perciò doveva parlare prima con la segreteria telefonica.

“Pronto! Parlate con Kaede.”
“Menomale che sei ancora sveglia.”
“Sono solo le sette!” Anche senza vederla, lui sapeva che aveva gonfiato le sue guance. “Che c’è?”

“Scusa. Non riuscirò a tornare a casa in tempo.”
“Eh?”
“Dovevo andare in un posto molto lontano per una cosa.”
“C-che genere di cosa?”
“Diciamo…” Esitò ma decise di doverglielo chiedere. “Kaede, ti ricordi di quella ragazza che venne a casa l’altro giorno? Mai Sakurajima?”
“È la prima volta che la sento.”
Lo mise al tappeto come se fosse nulla.

“……”
Le parole non gli uscivano di bocca. Si morse il labbro, aspettando che l’agitazione si placasse.

“Dimmi, chi è?” chiese Kaede, sembrava gelosa.

Sakuta la sentiva a malapena. Avere qualcuno che conosceva che lo obbligava ad affrontare la verità era davvero doloroso. Anche con Fumika Nanjou non era andata benissimo. Questo era molto peggio che avere degli sconosciuti dirti che non avevano mai sentito parlare di Mai.

I ricordi che condividevano stavano davvero svanendo. Questo lo rendeva personale. Divenne sempre più reale per lui.

“Tranquilla, se non ricordi non fa nulla” disse alla fine. “Dovrai accontentarti del ramen istantaneo nella credenza per cena. Per il condimento fai tu. Ricordati di dare da mangiare a Nasuno. E lavati i denti prima di dormire. Ti chiamo più tardi. Buona notte.”
“Eh, cosa? Aspetta—!”

Quella monetina da dieci yen si esaurì proprio mentre gridava, e lì la chiamata si interruppe.

In più, il treno stava per giungere.

“Andiamo, Mai.”
“Sì, andiamo.”
Sakuta e Mai si sedettero nel secondo vagone, sul treno diretto a Shimada.

2

Il treno si allontanò da Atami, fiancheggiando la costa pacifica mentre si dirigeva sempre più a ovest. Scesero di nuovo alla stazione di Shimada e alla stazione di Toyohashi, lasciando Shizuoka per la prefettura di Aichi. Viaggiarono per miglia e miglia, dirigendosi verso la prefettura di Gifu.

Al contempo, Sakuta chiedeva in giro per quei luoghi in cui mai fu stato se avessero sentito parlare di Mai, ma non trovò nemmeno una persona che conoscesse Mai Sakurajima o che l’avesse vista.

In questo momento si trovavano sul treno diretto a Ogaki.

Era probabilmente il limite a cui potevano portare le loro indagini. Altrimenti si sarebbe fatta mezzanotte. Ogni sosta lasciava il treno sempre più vuoto. Le rotaie emisero un suono digrignante per lo sfregamento. Ci fu un lieve rumore che provenne dalle giunzioni vibranti del treno.

Mano a mano che i suoni della folla si alleggerivano, i rumori dell’ambiente diventarono una sorta di ninnananna.

Un reparto composto da quattro sedili era completamente vuoto, Mai e Sakuta si sedettero su una parte di esso.

“Seconda per numero di abitanti nella prefettura di Gifu, dopo la città di Gifu” disse improvvisamente Mai, fissando il suo cellulare.

“Di che parli?”

A malapena c’era gente nel loro vagone. Forse tre persone sedute più in là. Sembrava come se lui e Mai fossero da soli.

“Ogaki.”
“Ah.”
Poteva sentirla chiaramente, anche quando parlava sottovoce.

“Dice anche che ci sono molte falde acquifere.”
“Sono sempre disponibile per andare a bere dell’acqua fresca.”
“……”
“……”
Quando ammutolirono, ci pensò il treno a riempire il silenzio. Era troppo buio fuori per godere del panorama, ma Mai appoggiò comunque il gomito sul tavolino appena sotto il finestrino, fissando le peculiari terre che superavano.

Passarono dieci minuti senza che uno dei due fiatasse.

“Ehi, Sakuta…”
“Che c’è?”
“Riesci a vedermi?”
I suoi occhi, il cui riflesso poteva notarsi sul vetro, catturarono il profilo di Sakuta.

“Sì.”
“Anche a sentirmi?”

“Certo.”
“Ti ricordi di me?”
“Sei Mai Sakurajima. Studentessa del terzo anno al liceo Minegahara di Kanagawa. Un’attrice molto famosa da bambina che finì per fare un sacco di altre cose.”
“Che intendi dire con questo?”

“A causa della sua infanzia come celebrità, è diventata una ragazza perversa e incapace di mostrare i suoi veri sentimenti.”
“Chi? Io?”
“Hai paura, ma cerchi di nasconderlo.”
Detto questo, Sakuta le prese la mano.

Mai alzò le sopracciglia, sorpresa. Il suo sguardo era fisso sulle loro mani.

“Non ti ho detto che potevi tenermi la mano.”
“Ma io voglio farlo.”
“……”
“Ho l’impressione che mi merito un premio.”
“…Allora vai avanti.”
Mai tornò a guardare il vetro del finestrino, ma le sue dita scivolarono tra quelle di lui.

Come due fidanzatini.

Un po’ in imbarazzo. Un po’ elettrizzante.

“Non ti ci abituare” disse Mai.

Lui era sicuro che lei fosse arrossita. Ma lei provava un gran gusto a causargli quella smorfia che aveva in faccia.

Alla fine, l’annunciatore informò che la prossima fermata sarebbe stata Ogaki. Fine della corsa.

Si tennero per mano fino a quando il treno non si fermò.

Quando misero piede sulla banchina della stazione di Ogaki, era mezzanotte e quaranta — un nuovo giorno.

Sakuta chiese ad un addetto se conoscesse Mai, ricevette solo un “Mai sentita nominare”, così uscirono dalla stazione.

Presero l’uscita a sud per casualità, camminarono fino alla stazione degli autobus, e si fermarono lì. Sakuta era preoccupato che si trattasse della tipica stazione circondata dal nulla, ma pareva che si trovasse nel cuore della città. C’erano edifici e aziende ovunque. Non sarebbe stato difficile trovare un posto dove stare.

L’unica domanda era dove passare la notte. Da solo, Sakuta avrebbe optato per un manga café invece di un hotel, ma non voleva portarci Mai. Soprattutto, quell’opzione volò dalla finestra già quando Mai disse: “Ho davvero bisogno di fare un bagno” appena scesi dal treno.

Anche Sakuta pensò lo stesso.

Passarono molto tempo nella brezza salata di Shichirigahama, e aveva decisamente bisogno di una doccia. I suoi vestiti erano appiccicosi, e lui era piuttosto sicuro che entrambi odoravano di sale.

Prese in considerazione un paio di altre alternative, ma decise che la scelta migliore fosse il business hotel di fronte la stazione.

Chiese se avessero delle camere libere, e l’uomo alla reception gli lanciò un’occhiataccia. Una reazione normalissima quando un ragazzo del liceo senza valigia voleva prendere una stanza nel bel mezzo della notte. Ma passò il check-in senza problemi. Pagò per la notte in anticipo per evitare ulteriori sospetti.

Visto che il portiere non poteva vedere Mai, non fu necessario che anche lei facesse il check-in. Sakuta si girò per assicurarsi che per lei non ci fosse alcun problema nel condividere la camera, ma lei era già partita spedita verso l’ascensore.

L’ascensore era vuoto, perciò entrarono dentro e schiacciarono il pulsante del sesto piano.

La loro camera era alla fine del corridoio. Stanza 601.

Quando Sakuta non riuscì ad aprire la porta inserendo la carta, Mai gli si avvicinò e la aprì per lui.

“La devi inserire per intero, poi la togli.”
Sakuta riprovò. Non gli diede l’impressione di aver aperto qualcosa. Ma come aveva detto Mai, la porta si aprì senza problemi.

Era una stanza singola. Un letto. Un comodino con uno specchio con una sedia di fronte. C’era un televisore da diciannove pollici, un piccolo frigorifero e una caffettiera. Era la definizione di stretto. Il letto occupava quasi il 70% della stanza.

Quando glielo disse, Mai lo derise, dicendo: “È un classico.”
Si mise a sedere sul letto, prese il telecomando per accendere il televisore, poi si tolse le scarpe. Dondolava le gambe, girò tutti i canali prima di spegnere la TV.

Mai si abbandonò sul letto. Deve essere esausta. Avevano passato tutto il giorno seduti, ma quello era bastato per far affaticare Sakuta. Il suo corpo era esausto.

“Vado a fare un bagno” disse Mai, rialzandosi.

“Sì, vai.”
“Non sbirciare.”
“Tranquilla. Mi basta sentire i suoni della doccia.”

“……”
Mai indicò silenziosamente la porta. Un chiaro segno per dirgli di andarsene.

“Permettere di sentire i rumori della tua doccia ad un giovane e dimenarsi in agonia è un piacere riservato per una donna matura e sicura di sé.”
“V-va bene! Lo sapevo già. Ovviamente.” Mai sbuffò, come se intendesse altrettanto. “Basta che non fai cose strane qui fuori.”
“Strane nel senso?”

Lui capiva quello che intendeva, ovvio.

“Nel senso di strane! Non farmelo dire!”

Si girò ed entrò in bagno. La porta si chiuse dietro di lei. Lui sentì un sonoro click mentre lei chiudeva a chiave.

“È stata proprio carina.”
Finalmente, sentì il rumore della doccia.

Prestando comunque attenzione a quel suono, Sakuta esaminò il telefono della stanza. Sembrava potesse supportare chiamate in uscita.

Sollevò la cornetta e digitò il numero del suo amico — l’unico numero che ricordava a memoria.

Durante il terzo squillo, rispose una voce familiare.

“Ma sai che ore sono?” chiese Yuuma, sembrava assonnato.

“L’una e sedici.”
C’era un orologio incorporato nel letto.

“Lo so!”
“Stavi dormendo?”
“Dormivo come un ghiro! Gli allenamenti e il lavoro mi hanno esaurito.”
“Si tratta di un’emergenza. Ho bisogno del tuo aiuto.”
“Che ti serve?”
“Prima una domanda — ti ricordi di Mai Sakurajima?”
Non aveva molte speranze. Aveva chiesto a decine… forse centinaia… di persone riguardo Mai senza ricevere la risposta che si aspettava.

“Eh? Ovvio.”
“Sapevo che non l’avresti ricordata” rispose lui, di riflesso.

“Cosa? che la conosco” insistette Yuuma, sembrava ancora assonnato.

Il cervello di Sakuta si rimise in funzione. Cosa aveva appena detto Yuuma?

“Kunimi!”

“Ugh, ma perché urli?”

“Ti ricordi di Mai Sakurajima?! Quella Mai Sakurajima?”
“Perché non dovrei?”
Non ne sapeva il motivo. Non aveva alcun senso. Ma Sakuta aveva appena trovato quello che stava cercando, nella maniera che meno si aspettava. La gioia e sorpresa facevano battere il suo cuore così velocemente che gli faceva male.

“Tutto qui? Posso andare a dormire?”
“Aspetta. Dammi il numero di Futaba.”
“Uh, sì…”

Yuuma iniziò a svegliarsi. Brontolando, gli dettò il numero di Rio Futaba. Sakuta trovò un blocchetto vicino al telefono e lo scrisse.

“Hai intenzione di chiamarla adesso, Sakuta?”

“Per questo te l’ho chiesto.”
“Si arrabbierà se lo fai.”
“Non ti preoccupare. Lo sarei anch’io.”
“Allora va bene. Mi devi il pranzo per questo. Anche a Futaba.”
“D’accordo. Buonanotte.”
“Sì… Notte…”
Yuuma riattaccò.

Sakuta digitò subito il numero di Rio. Rispose.

“Sono Azusagawa” disse lui.

“Ma sai che ore sono?” si lamentò lei. Ma sembrava parlare chiaramente — forse era già sveglia?

“L’una e diciannove.”
“L’una e venti. Il tuo orologio è indietro.”

“Ah, davvero?” Pensi davvero che l’orologio di un business hotel azzecchi l’ora? “Hai un minuto? Mi serve il tuo aiuto per una cosa.”
“Ti sei cacciato di nuovo nei guai, vero?”

“Non so se questo conti come guaio.”
“Sento il rumore della doccia. È Sakurajima?”

“…Come fai a saperlo?”
Era troppo sul punto. E qualcosa al riguardo lo infastidiva.

“La tua adorabile sorellina non farebbe mai una doccia a quest’ora. E posso dedurre dal numero con cui mi stai chiamando che no stai a casa.”
Mentre lei parlava, lui si rese conto di cosa non andava.

“Futaba, anche tu ricordi Sakurajima? La conosci?”

Doveva esserne sicuro.

“Perché non dovrei conoscere qualcuna così famosa? Ma sei proprio stupido?”

“Sta accadendo qualcosa di stupido. Ecco perché sto chiamando ad un orario del genere.”
Rio sospirò. “Ok. Se hai qualcosa di stupido da dire, ti starò a sentire.”

Sakuta impiegò circa venti minuti per spiegare a Rio tutto quello che stava accadendo a Mai. Fece del suo meglio a lasciar perdere le ipotesi, raccontandole solamente cosa vide personalmente. Rio gli pose delle domande mentre raccontava ma per la maggior parte del tempo lo ascoltò attentamente.

“…Che ne pensi?” chiese lui quando finì il discorso.

Ci fu un lungo silenzio.

“Capisco” disse lei alla fine. Ci fu un sospiro colmo di riflessione. “Tu e Sakurajima siete molto più in confidenza di quanto immaginassi.”
“È tutto quello che hai da dire dopo tutto questo?”
Non volevo sentire tutta la vostra storia d’amore.”
“Non ti ho chiesto aiuto riguardo quella cosa!”

“Hai passato venti minuti a vantarti. A quest’ora, poi.”

“Non mi stavo vantando!”
“Lo ostentavi, allora.”
“Fai la seria!”
“Tutto questo è di per sé non serio” brontolò Rio.

“Sì, lo so, ma… pensaci. Rispetto a me che sto con quella Mai Sakurajima, le persone che non la vedono e che si dimenticano che addirittura esiste sembra alquanto normale.”

“Puoi dirlo forte.”
“Argh…”

Lui stava scherzando, ma Rio lo prese alla lettera.

“Ma come ho detto prima, non penso che la Sindrome dell’Adolescenza esista.”
“Capisco. Perché non è sensato, giusto?”
“Giusto.”
Ma lei non accusò Sakuta di aver mentito perché lui le aveva mostrato le cicatrici sul suo petto e le raccontò quello che successe a Kaede. Rio disse: “Potrebbe non essere sensato, ma io credo alla tua storia, spiega alcune cose.”
Naturalmente. Sakuta stava dicendo la verità, dopotutto. La Sindrome dell’Adolescenza di Kaede era uno dei grandi motivi per cui lui se ne andò di casa e si iscrisse al Minegahara. Altrimenti, sarebbe andato alla scuola del suo quartiere, non avrebbe mai incontrato Shouko Makinohara, non avrebbe nemmeno saputo dell’esistenza del Minegahara.

“Allora, cosa vuoi che ti dica?”

“Ho bisogno del tuo aiuto per capire perché sta accadendo e trovare una soluzione.”
“Chiedi un po’ troppo, Azusagawa.”
“Sono comunque disperato da chiederlo.”

“……”
“Uh, Futaba? Sei ancora lì?”

“Kunimi una volta ha detto…”

“Eh?”
Perché stava parlando di Yuuma adesso?

“Le tue qualità migliori sono il saper dire cose come grazie, scusa e aiutami.”

“Cioè, non è che dico quelle cose a chiunque tranne a voi due.”
Stava deviando la conversazione, imbarazzato, e lei sbuffò in modo sprezzante.

“E va bene” disse lei. “Ci penserò su. Non aspettarti troppo.”
“Io devo aspettarmi troppo!”

“Senti…”
“Grazie. Sei di grande aiuto.”
Onestamente parlando, Sakuta aveva paura. Non riusciva a vedere nessuna via d’uscita. Non è mai stato così spaventato da quando aveva visto in che stato si trovava Kaede con la sua Sindrome. Non aveva idea di dove iniziare a litigare. Ed era terrificante.

Forse Sakuta perderebbe l’abilità di vedere Mai. Di sentire la sua voce. Potrebbe anche dimenticarsi di lei. Quella era la cosa più terrificante di tutte.

“Vai a scuola domani?”

“Siamo ad Ogaki in questo momento, perciò… non di mattina, almeno. Perché?”
Rio non chiederebbe dei suoi piani senza una motivazione valida.

“Così, domanda spontanea. La scuola è l’unica cosa che ci unisce.”
“Capisco.”
“Quindi ho pensato che la scuola potrebbe essere la causa di tutto ciò.”
“…Potresti avere ragione.”
Sakuta si ricordò di una cosa. Oggi — beh, tecnicamente ieri — subito dopo che incontrò Mai, si sono imbattuti in Tomoe Koga, la ragazza che incontrò aiutando una bambina che si era persa.

Ma lì alla stazione, Tomoe vedeva tranquillamente Mai. La stessa cosa valeva per le sue amiche.

“Forse arrivare fin qui è stato una perdita di tempo…” disse lui.

Raccontò a Rio di Tomoe e delle sue amiche.

“Non direi che è stata una perdita di tempo” disse Rio. “Le informazioni che hai acquisito ci fanno comprendere di più la situazione. E ci ha aiutato a stabilire l’ipotesi che la radice del problema è la scuola.”

“Oh… beh, è già qualcosa. Probabilmente non ce la farò entro mezzogiorno di domani, ma andrò a scuola. Mi dispiace di averti chiamato a notte fonda.”
“Fai bene ad essere dispiaciuto.”
Rio sbadigliò e riattaccò. Sakuta rimise il telefono al suo posto. Si rese conto che era in piedi per nessun motivo e si sedette sul letto.

La doccia non faceva più alcun rumore. Era concentrato sulla conversazione, non ci aveva fatto caso.

“Augh! Che spreco!” mormorò lui.

La porta del bagno si aprì. Mai fece uscire solo la testa avvolta da un asciugamano. Lui le vide le spalle, arrossate per via della doccia, ancora si intravedeva il vapore.

“Le mutande!” disse lei.

“Eh?”

“Posso indossare gli stessi vestiti, ma indossare le stesse mutande e calzini? Ew!”

“Dovrei lavarle per te?”

“Preferirei morire.”
“Se fossero le tue mutande, non mi importerebbe quanto sono sporche.”
“Non sono sporche!”
“Peccato. Avrebbero avuto molto più valore.”
“Smettila con queste fantasie da maniaco!”

Mai si tolse l’asciugamano dalla testa e lo lanciò a Sakuta. Lo colpì proprio in faccia. Era troppo impegnato a guardare i suoi capelli luccicanti appena usciti dalla doccia per schivare il colpo.

Ma non schivare è stata la scelta giusta. C’era ancora un odore dolce sull’asciugamano — forse lo shampoo.

“Posso immaginare che tu sia nuda in questo momento?”

“Porto un altro asciugamano!”

“Ohhh!”

“Smettila di fantasticare!”

“Sono libero di fantasticare su quello che mi pare.”

“Perché sei così maniaco?!”

“Come posso non eccitarmi quando sto condividendo una stanza d’hotel con una ragazza bella come te?”

“Quindi la colpa sarebbe mia?!”

“Anche se arrotondo, almeno metà della colpa te la prendi tu.”

Mentre parlava, si alzò e prese il suo portafogli.

“Vado al minimarket a comprarti della biancheria. Anche a me serve un cambio.”

“Sei sicuro?”

“Mi bastano.”

Le mostrò i pochi spiccioli che aveva. Prima di lasciare la stazione di Fujisawa, prese con sé tutti i soldi che aveva guadagnato con il suo lavoro. Erano circa cinquantamila yen o giù di lì, ma bastavano per prendere la biancheria da cinquecento yen del discount.

“No, nel senso… i ragazzi non si vergognano a fare queste cose?”

“Mm? Oh, penso di sì. Sono abituato, però.”

“Davvero?” Mai batté gli occhi, non sicura di quello che intendesse.

“Dopo aver comprato le cose per il ciclo a mia sorella, non mi frega più di tanto. Ci provo gusto a vedere le reazioni dello staff.”

Visto che Kaede era segregata in casa, lui doveva comprarle vestiti e biancheria.

“Sei il cliente peggiore di tutti.”
“Torno subito.”
“Aspetta, vengo anch’io.”
Mai ritirò la testa e chiuse la porta. La chiuse a chiave. Non aveva ancora abbassato la guardia. Non si fidava per niente.

“Posso farcela.”
“Ho paura di quello che potresti scegliere.”
“Non è che c’è l’imbarazzo della scelta.”
I discount avevano le fantasie più semplici.

“Solo il pensiero di mettere delle mutande che mi ha comprato un ragazzo mi disgusta!”

Si stava cambiando in quel bagno minuscolo. Lui poteva sentirla mentre borbottava e si lamentava. Lo trovava piuttosto sexy.

Dopo un po’ sentì il rumore di un asciugacapelli.

Aspettò dieci minuti abbondanti prima che lei uscisse finalmente dal bagno.

“Andiamo” disse.

“Fooooorza.”

Sakuta e Mai uscirono dall’hotel dall’uscita posteriore — soprattutto per evitare la reception. Un ragazzo delle superiori che viaggiava da solo era come una mosca bianca. Non aveva senso aumentare i sospetti dopo quello che successe durante il check-in.

Il fatto che Mai non poteva essere vista giocava a loro favore. Se avessero fatto il check-in come una coppia, avrebbero sospettato di più, che avrebbe potuto portare al coinvolgimento della polizia. Ovviamente, se le persone potevano vederla, non mai fatto tutta questa strada…

Sakuta guardò accuratamente la strada. A quarantacinque metri dalla stazione c’era un led verde — un minimarket.

Erano giunti a destinazione.

A quest’ora, c’erano poche persone in giro. All’inizio, nessuno dei due disse una parola.

“Mi fa strano come cosa” disse Mai infine. Aveva le mani giunte dietro la schiena e sembrava le piacesse vedere la città ormai dormiente intorno a lei.

“Cosa intendi?”

“Essere in una città sconosciuta così.”

Mai sbatteva volontariamente le scarpe sul marciapiede come un soldato che marciava.

“Pensavo avessi viaggiato molto, mentre registravi?”

“Io non sono andata da nessuna parte. Mi ci hanno portato.”

“Ahhh, ho capito.”
Una volta lui e la sua famiglia hanno viaggiato fino ad Okinawa, molto più lontano di Ogaki. E alle medie andò a Kyoto in gita, ancora più lontano. E alle elementari a Nikko. Viaggiò molto grazie alle gite scolastiche, ma nessuna di quelle volte si sentì come se ci fosse stato davvero.

Come aveva detto Mai, lo hanno semplicemente portato lì.

In un certo senso, anche Sakuta si stava godendo questa piccola gita. Aveva sentito l’adrenalina mentre si preparava per una nuova avventura alla linea Tokaido alla stazione di Fujisawa.

Avevano preso il treno senza una destinazione precisa, solo per andare il più lontano possibile. Cercando di trovare qualcuno che potesse vedere Mai…

Ci erano andati loro stessi. Dovevano anche tornare a casa da soli. era stressante ma anche divertente.

Era come se fossero andati per un avventura insieme. Oltre alla Sindrome dell’Adolescenza, avevano completamente dimenticato la loro routine quotidiana. E il senso del nuovo era piacevole.

“Quando non stavo girando, ero intrappolata nell’hotel. Anche se non ero mai stata in quel posto fino ad allora, tutti lì mi conoscevano, perciò non avevo tanta voglia di andare in giro.”
“Ti stai vantando?”

“Lo sa che non mi sto vantando, ma lo chiedi comunque. Vuoi delle attenzioni?”

I suoi occhi sembravano sorridere. Gli lesse nella mente.

“Mi hai fregato” ammise lui.

“Sei proprio un bambino” sbuffò Mai. “Ma suppongo che la cosa più strana di tutto ciò è che sto camminando in giro per questa città con un ragazzo più giovane di me.”
“Di sicuro non avrei mai pensato di andare in un posto così lontano con quella Mai Sakurajima.”
“Sii onorato.”

“Un onore che non dimenticherò mai.”
Sakuta scelse le parole accuratamente, consapevole del loro significato. Non era un concetto che potevano evitare. Mai stava svanendo dai ricordi delle persone.

“……”

Mai non rispose.

Questo portò Sakuta ad evidenziarlo di nuovo.

“Non lo dimenticherò mai.”

“……E se invece lo dimenticherai?”

“Mangerò i Pocky con il naso.”

“Non si gioca con il cibo.”
“Ma era un’idea tua!”

Comparve un sorriso sulle labbra di Mai, ma finì presto.

“Sakuta.”
“Che c’è?”
“Me lo giuri?”

“……”
“Davvero non ti dimenticherai di me?”

I suoi occhi esitavano. Come se lei lo stesse mettendo alla prova.

“L’immagine di te con indosso il vestito da coniglietta è impressa nella mia mente.”
Mai sbuffò. “Hai ancora il costume con te, vero?” chiese lei.

Sembrava come se lei fosse sicura che ce l’avesse ancora. Era vero, perciò…

“Certamente.”
“Allora ci hai fatto cose orribili, immagino.”
“Non ancora.”
“Buttalo quando torni a casa.”
“Aww.”

“Non protestare!”

“Speravo di vedertelo indosso un’altra volta.”

“Non capisco come tu faccia a dirlo seriamente.”
Sembrava inorridita. 

Sakuta non si arrese così facilmente. Continuava a fissarla.

“Beh, forse una volta” disse, piegandosi. Era un po’ imbarazzata. “Per ringraziarti di tutto quello che hai fatto.”
“No, ma grazie a te!”

“Realizzare le fantasie sessuali di un giovane ragazzo è una cosa da nulla” disse, anche se non lo stava guardando negli occhi. Era troppo buio per esserne sicuri, ma il suo volto era leggermente colorito.

“Per prima cosa, dobbiamo prenderti della biancheria nuova.”

Non deciderai tu.”
Raggiunsero il negozio prima che decisero come agire.

L’uomo alla cassa accolse Sakuta in modo non molto entusiasta. Non c’erano clienti. C’era un altro impiegato, che coglieva l’occasione per rifornire il reparto dolci durante la pausa.

Trovarono ciò che serviva loro su uno scaffale vicino la porta. Sakuta prese un cestino e Mai lo seguì.

Calzini, magliette, asciugamani, e ovviamente, mutande e canottiere che cercavano.

Non ci aveva mai fatto caso prima, ma c’era una selezioni di prodotti che non si aspettava. Tutto era ripiegato in custodie di plastica, facili da prendere.

Il reparto femminile consisteva in mutande e canottiere, vendute separatamente. Avevano come taglie S e M, e gli unici colori disponibili erano il nero e il rosa.

Senza un momento di esitazione, Mai prese un paio di mutande nere e una canottiera abbinata, mettendole nel cestino. Poi aggiunse un paio di calzini.

“Il rosa sarebbe meglio.”
“Tanto mica le devi vedere.”
“Peccato. Mi sarebbe piaciuto.”
“Parli come un idiota, e lo diventerai sicuramente.”
Mai sbadigliò e si diresse verso il reparto bevande.

Non aveva senso insistere, perciò Sakuta prese una maglietta, calzini, un paio di boxer per lui e la seguì.

“Anche i calzini neri.”
“Cosa hai detto?”

“No, niente!”

Tornati all’hotel, si cambiarono, poi mangiarono delle polpette di riso e panini. Avevano mangiato una sola volta durante il tragitto, ma era stato quattro ore fa — avevano entrambi molta fame.

Dopo il pasto veloce, Sakuta fece una doccia. Quando riuscì…

“Torniamo a casa domani mattina” disse.

Mai sembrava sorpresa. “Sei preoccupato per tua sorella?” chiese lei.

“Anche. Ma ho trovato qualcuno che si ricorda di te.”
“…Davvero?”

“Entrambi i miei amici del Minegahara.”
“Quando…?”

“Li ho chiamati quando stavi facendo la doccia.”

Fissò il telefono nella stanza.

“Chiamare a quest’ora potrebbe far finire un’amicizia.”
“Ho chiesto scusa. Andrà tutto bene.”
“Tutta questa sicurezza.”
“Se uno di loro avesse fatto la stessa cosa a me, li avrei perdonati.”

“Speriamo che tu abbia ragione. Ma…oh. Tu non eri l’ultima persona che si ricordava di me.”
“Forse la causa di tutto ciò risiede nella scuola.”
Non poteva esserne sicuro. Ma era l’unica pista che aveva. Dovevano impiegare tutte le loro speranze e comportarsi di conseguenza.

“Ok. Andiamo a dormire ora.”
“Uh… quindi dove dormo io?”

Mai aveva già messo in chiaro che il letto era il suo. Portava una vestaglia al posto del pigiama. Lei lo guardò, senza rispondere.

“Per terra? Nella vasca? Penso che all’hotel non farà piacere se dormo in corridoio.”

Lei lo fissò ancora per un lungo minuto, poi guardò il letto. 

Ci pensò su per un po’ di tempo.

Poi chiese: “Mi prometti che non farai nulla?”

“Lo prometto” disse immediatamente.

“Bugiardo.” Non si fidava per niente. “Ma penso che sia stata io quella che è stata attirata in questo hotel.”

“Non farlo sembrare come se t’avessi ingannato!”
“Ti permetto di sdraiarti vicino a me. Solo per dormire, ricordati.”

“Veramente?”

“Preferisci il corridoio?”

“Non vedo l’ora di dormire con te.”
Date le circostanze, sembrava come qualcosa di completamente diverso.

“……”

L’ultima frase suscitò ancora più sospetti. Riformulò velocemente la frase.

“Non vedo l’ora di sdraiarmi accanto a te.”

“……D’accordo.”
Mai gli fece spazio. Sakuta si sdraiò lì vicino. Il posto dove prima c’era lei era ancora caldo.

“……”

“……”

Cercò di dormire. Ma…

“Sakuta…” disse Mai.

“Sì?”

“È tutto molto stretto.”
Il letto singolo di sicuro non era fatto per dormire insieme. Sembrava che non potessero muoversi nel sonno.

“Devo spostarmi?” chiese lui, girandosi verso di lei.

Lei fece lo stesso e i loro occhi si incontrarono. La sua faccia era a pochi centimetri dalla sua. Anche nella debole luce, poteva quasi contare le sue ciglia.

“Di’ qualcosa.”
“Cosa?”

“Qualcosa di divertente.”
“Hai standard troppo alti. Ti piace darmi il tormento?”

Il sarcasmo era il suo meccanismo di fuga.

“Forse” rispose lei, la sua espressione invariata.

“Se non ti piace, perché lo fai?”

“Perché a te piace che io ti dia il tormento.”
“E quindi mi assilli pur sapendo tutto questo! Sei proprio una regina.”
“La tua vena masochista è così ovvia che devo pur darti qualche premio.”
“Nessun uomo resterebbe indifferente se una bellissima senpai li tormentasse.”
“È un complimento?”

“Un brillante complimento.”
“Hmph.”
La conversazione finì lì.

Senza le loro voci a colmare il silenzio, gli unici rumori erano quelli del condizionatore e la ventola del bagno. Nessun suono proveniva dalle camere vicine.

Erano solo loro due.

Sakuta era da solo in una piccola stanza con Mai.

Sakuta non si sforzò nemmeno di staccarle gli occhi di dosso.

Mai non si sforzò nemmeno di staccargli gli occhi di dosso.

“……”
“……”

Ci fu un lungo silenzio.

Battevano le palpebre occasionalmente. Il suono del suo respiro.

Senza avvertire, schiuse le labbra.

“Dovremmo baciarci” disse lei.

Era sorpreso. Ma non irritato.

“Ti senti eccitata, Mai?”

“Sei un idiota.”
Non si arrabbiò per la sua battuta. Non sembrava né turbata né in imbarazzo. La sua sola reazione fu solo sorridere come se fosse divertente.

“È ora di dormire. Buonanotte.”
Si girò, dandogli le spalle.

I suoi capelli le caddero sul lato. Riusciva a vederle la nuca. Se avesse continuato a fissarla, era sicuro che l’avrebbe abbracciata, quindi si girò dall’altra parte, distesi schiena contro schiena.

“Sakuta.”
“Pensavo che stessimo dormendo?”
“Se iniziassi a tremare come una foglia e, tra i miei singhiozzi, dicessi: ‘Non voglio sparire!’ cosa faresti?”

“Metterei le mie braccia intorno a te e ti sussurrerei: ‘Andrà tutto bene.’”

“Allora non lo dirò mai.”
“Non è abbastanza?”

“Ho come la sensazione che mi palperesti ‘accidentalmente’ il seno.”

“Allora il culetto?”

“È ovviamente off-limits” disse lei, come se stesse scacciando via una pulce.

“……Mi sono decisa a tornare a lavoro. Non posso sparire adesso.”

La sua voce era più debole di un bisbiglio.

“Hai ragione.”
“Voglio recitare in film e serie TV. Vorrei tanto provare teatro. Voglio lavorare con registi, colleghi attori e staff fantastici. Fare un bel lavoro. Voglio sentirmi di nuovo viva.”
“Bene, prepariamoci per Hollywood!”

“Ah-ah, quello sarebbe proprio bello.”

“Sarà meglio che io mi procuri adesso il tuo autografo.”
“Valgono già un po’ di soldi, sai.”

“Suppongo di sì.”
“Io non… posso proprio sparire ora.”
“……”
“Non quando ho appena conosciuto questo ragazzo che mi ha fatto venire voglia di tornare a scuola.”
“Non ti dimenticherò.”
Si distesero di nuovo schiena contro schiena.

“……”
Lei non rispose.

“Prometto di non dimenticarti.”
“Come puoi esserne sicuro?”
Sakuta ignorò la domanda.

“Così possiamo baciarci in ogni momento. Non deve essere adesso. Non dobbiamo correre. Non deve per forza essere con me. So che ce la farai ad arrivare ad Hollywood. Puoi fare tutto ciò che vuoi. Ne sono sicuro.”
Mai rimase in silenzio per un po’.

“……Hai ragione” disse. “Che peccato. Hai sprecato la tua e unica opportunità per prenderti il mio primo bacio.”
“Dovevi avvertirmi!”
“Troppo tardi.”
Riusciva a sentire la sua risatina.

Ma svanì quasi subito.

“Grazie” disse lei. “Per aver creduto in me. Grazie.”
“……”
Sakuta non le rispose. Fece finta di dormire. Se avessero continuato a parlare, l’avrebbe sicuramente abbracciata.

Dopo un po’ di tempo, il suo respiro rallentò. Mai stava dormendo.

Anche Sakuta cercò di prendere sonno. Ma lui era troppo cosciente di lei che era sdraiata di fianco a lui per appisolarsi.

3

Sakuta non riuscì ad addormentarsi. Passò le ore prima dell’alba ad ascoltare il respiro di Mai a fianco a lui.

Si eccitò un paio di volte. Ma non importa quante volte fissò la sua faccia, Mai non si svegliò mai. Eccitarsi da solo lo faceva sentire come uno stupido. Altre volte, l’idea che fosse l’unico a scervellarsi per questo era solo deprimente.

Addormentarsi sarebbe stato molto meglio, ma tra lei che era sdraiata vicino a lui e la fatica del viaggio, il suo corpo era teso, e non gli venne mai sonno. C’era un calore che si agitava dentro di lui che passò tutta la notte giocando con la sua testa.

E dopo ore perse, il mondo dietro le tende si accese.

Mai si svegliò alle sei e mezza, e si augurarono buon giorno a vicenda. Poi si preparano per il check out. Ma dato che non avevano portato quasi nulla con loro, Sakuta era praticamente pronto.

Mai non era così veloce. Insistette per fare prima un bagno.

Questo bagno durò trenta minuti.

Quando uscì finalmente, insistette di nuovo che doveva vestirsi, perciò lo costrinse ad uscire dalla stanza. Del tutto ingiusto.

Per passare il tempo, tornò al minimarket per comprare qualcosa da mangiare per colazione. Se la prese con comoda…

Quando tornò, mangiarono insieme delle ciambelle alla crema e riuscirono finalmente a fare il check out. Erano le otto passate.

Si diressero verso la stazione di Ogaki e salirono sul treno. Adesso mancavano loro solo centinaia di miglia in viaggio. Ma a differenza del giorno prima, presero lo Shinkansen da Nagoya, rendendo il viaggio molto più breve per tornare alla stazione di Fujisawa.

Sakuta tornò a casa prima di mezzogiorno. Un applauso ai treni superveloci. Erano incredibilmente svelti.

Fecero entrambi una sosta a casa propria e si incontrarono fuori trenta minuti dopo.

Mai lo aspettava con la sua uniforme quando lui arrivò, trattenendo uno sbadiglio.

“Tu sei completamente andato” disse lei.

“Sei bellissima anche oggi!”

“Hai la cravatta storta. Fermo lì.”
Gli passò il suo zainetto e gli sistemò la cravatta.

“Non avrei mai immaginato che ci saremmo comportati come degli sposini così presto. Grazie.”
“La tua faccia fa già ridere di suo. Non c’è bisogno che dici altro.”
Si riprese lo zaino e se ne andò.

“Ah! Aspetta!”

Le corse dietro, e camminarono uno di fianco all’altro.

Le strade che camminava abitualmente sembravano delle vecchie conoscenze. Se non le avesse conosciute come le sue tasche, avrebbe giurato che sembrò di essere stato via più di una settimana.

Nonostante se ne andarono il giorno prima.

Meno di quello, da quando aveva fatto ritardo per il suo appuntamento. Anche quello stava diventando un ricordo lontano.

Mentre ci rimuginava sopra, iniziò a sbadigliare. Rimanere sveglio fino a tardi veniva con un prezzo. Si sentiva come se potesse crollare da un minuto all’altro.

“Eh? Non hai dormito?” chiese Mai, scrutando i suoi occhi. Devono essere arrossati.

“E di chi pensi sia la colpa?”

“Stai dicendo che la colpa è mia?”

“Non mi hai lasciato dormire.”
“Troppo contento?”
“Troppo nervoso, in realtà” ammise, sbadigliando nuovamente.

“Sai essere carino a volte” disse Mai.

“Tu, invece, hai dei nervi d’acciaio! Dormivi come un sasso.”
“Sono stata in tutti i posti possibili per via delle riprese. Ero abituata a dormire tra una scena e l’altra. E…”

Era andata, sembrava una bambina che aveva appena pensato ad un grandissimo scherzo.

“Dormire vicino a te non è stata una cosa grandissima.”

“Ottimo! La prossima volta proverò alcune cosette.”
“Tanto non hai il coraggio di fare nulla.”

Quando arrivarono a scuola, era ora di pranzo.

La maggior parte degli studenti aveva già finito di mangiare e si stava riposando. Alcuni giocavano a basket nel cortile, e le loro grida echeggiavano nel campetto.

La scuola era sempre stata così, ma sembravano passati anni da quando erano stati lì — come se fosse il loro primo giorno di scuola dopo le vacanze estive o di primavera.

Mentre si mettevano le scarpe all’entrata, Mai disse: “Vado a curiosare in giro.”

“Faccio un salto da Futaba. Oh, Futaba è una degli amici che si ricorda di te…”

“È un nome da donna? Sono sorpresa” disse Mai, fermandosi.

“È il suo cognome.”
Era comunque una ragazza…

“Giusto. Beh, ci vediamo dopo.”
Mai si diresse in corridoio. Sakuta la vide andarsene. Passò accanto ad un gruppo di ragazze con in mano dei quaderni, un professore di geometria di mezza età che maneggiava un proiettore, e un gruppo di ragazze che parlavano appassionatamente di un ragazzo figo del team di basket.

Nessuno di loro si accorse di Mai. Nessuno la guardò.

Questo non parve strano a Sakuta.

Era sempre stato così.

Era sempre stato così per Mai qui.

La reazione naturale riguardo un problema che nessuno voleva affrontare. Tutti facevano finta di non vederla. Si comportavano come se lei fosse fatta di aria.

E quando tutti la ignoravano, risultava come se le persone non potevano vederla. Gli studenti del Minegahara la trattavano così già da prima che questo fenomeno si espandesse. Prima che Sakuta iniziasse a frequentare questa stessa scuola.

Mai passava tra la folla.

Come se stesse passando tra persone affette dalle sua Sindrome dell’Adolescenza.

“……”
Sembrava come se frammenti di intelligenza si stessero mettendo insieme.

Come se Sakuta riuscisse a vedere la radice del problema.

L’idea di Rio secondo cui il nucleo della questione fosse la scuola sembrava essere giusta.

“Azusagawa.”
Sakuta si girò verso la voce e si trovò Rio dietro di lui, le mani nelle tasche del camice da laboratorio bianco.

Quando lo vide, lei sbadigliò. Questo fece sbadigliare anche Sakuta.

“Cattive notizie” disse lei.

Si preparò.

“Tutti tranne me potrebbero aver dimenticato Mai Sakurajima.”

“……?!”

Alzò un sopracciglio. Quella sì che era una brutta notizia.

“Almeno, Kunimi non si ricorda di lei.”
“Davvero?”
Rio non inventerebbe mai una cosa del genere. Non c’era motivo di scherzare, e Sakuta sapeva che non era il tipo che scherzava su queste cose.

Ma non poté fare a meno di chiederglielo. Voleva disperatamente che fosse uno scherzo.

“Quando gli dissi il suo nome, Kunimi sembrava confuso. ‘Chi era?’ mi ha chiesto. Non ho chiesto nemmeno ad altre persone, però…”
Sakuta si guardò intorno, cercando qualcuno a cui chiedere. Questo bisogno svanì quasi subito, però.

Mai stava correndo di nuovo verso l’uscita. Senza fiato, sconvolta — pallida dalla paura.

Quando riprese fiato, lo guardò negli occhi.

“Riesci ancora a vedermi?” chiese lei.

“Certo. Chiaro come il sole” disse, annuendo.

La tensione sparì dal suo volto.

“Menomale…”
Tirò un sospiro di sollievo.

Ma perché?

Perché Sakuta e Rio potevano vederla mentre gli altri no? Perché avevano dimenticato Mai?

Per lo meno, ieri non erano solo loro due. Yuuma, Tomoe Koga,  e le sue amiche potevano vederla.

“Giusto, Tomoe Koga!”

Sakuta corse da solo, diretto verso le classi del primo.

Sbirciò in tutte le aule del primo piano, trovando Tomoe al quarto tentativo. Classe 1-4. Era con le stesse amiche del giorno prima, mangiando il pranzo vicino le finestre, i loro banchi messi vicino.

Sakuta le si avvicinò.

Una delle sue amiche lo vide per prima e fece un gridolino sorpreso. Si girarono tutte a guardare.

“Cavolo, quel ragazzo del…” disse Tomoe, fermandosi all’improvviso.

Sakuta si mise vicino ai loro banchi e chiese: “Conosci Mai Sakurajima?”

Tomoe Koga e le sue amiche si guardarono a vicenda e iniziarono a bisbigliare.

“Ma chi è, Tomoe?”
“Io—Io non lo so!”

“Sakura… chi?”

“Ma chi…?”

“L’hai vista ieri alla stazione Enoden di Fujisawa” disse lui.

Si guardarono di nuovo ma scossero la testa.

“Come fai a non conoscerla? È un’attrice famosa!” Sakuta fece un passo avanti. “ Pensaci bene! Quella bellissima ragazza del terzo anno… L’hai vista!”

Quando fece un altro passo avanti, Tomoe iniziò ad avere paura.

“Devi ricordare!” ordinò lui, mettendo le sue mani sulle sue spalle.

“N—Non la conosco!” gridò lei, le lacrime che si accumulavano nei suoi occhi.

“Ti prego!”

“Ow!”

Si rese conto di star stringendo le sue spalle.

“Smettila, Sakuta.” Una voce al suo orecchio. La mano di Mai sul suo polso.

Lentamente, lasciò Tomoe.

“Scusa” disse. “Non so cosa mi è preso.”
“O-okay…”
“Mi dispiace tantissimo. Sono mortificato.”
Scusandosi di nuovo, Sakuta si diresse verso la porta, si sentiva i piedi pesanti.

“Azusagawa” disse Rio. Li seguì e fece loro cenno dal corridoio.

“Che c’è?”
Quando Rio non si mosse, Sakuta si allontanò da Mai, avvicinandosi a lei.

“Forse ho un’idea” disse Rio, a bassa voce, così la sentì solo lui.

Sembrava esitare a continuare.

“Dimmi.”
“Azusagawa… Hai dormito ieri sera?”
Quella domanda fu l’inizio della sua spiegazione.

Dopo scuola, quel giorno Sakuta e Mai andarono alla stazione di Fujisawa e lì presero strade diverse.

Anche in tempi come questi, Sakuta aveva il turno al ristorante. Non poteva di certo mettersi in malattia. “Dovresti andare” disse Mai.

Lavorò fino alle nove, strofinandosi gli occhi stanchi. Sulla via di casa, fece una sosta al minimarket. Fece un giro del negozio, osservando gli scaffali.

Trovò le bevande energetiche su uno scaffale vicino le casse, sotto le bevande in gelatina.

Andavano da duecento yen al costo di una ciotola di carne di manzo. Ne trovò addirittura una che costava più di mille yen. Non capiva nemmeno la differenza o cosa c’era al loro interno.

Ne prese tre a caso, insieme a delle gomme da masticare con caffeina e delle compresse, poi portò tutto in cassa.

Il totale era più o meno duemila yen. Tra l’uscita ad Ogaki e la stanza dell’hotel, il suo portafoglio si sentiva sempre più leggero. Non c’era rimasto quasi nulla.

Ma ora non era il momento di essere avari.

Ricordò le parole di Rio.

——“Azusagawa… Hai dormito ieri sera?”

“Non ho chiuso occhio” rispose lui.

Questo era quello che si aspettava Rio. “Nemmeno io” disse.

“……”
Non sicuro di cosa intendesse, aspettò che lei continuasse a spiegare.

“Sto solamente lavorando al contrario dai risultati, ma penso sia questo il motivo. Non ero con Sakurajima o altro.”
“…No.”
“Ti ricordi di quando ti ho parlato della Teoria dell’Osservazione?”

“La cosa del gatto di Schrödinger?”

“Pensavo fosse ridicolo quella volta” disse Rio. Guardò Mai in fondo al corridoio. Sembrava come se fosse insicura di come comportarsi davanti a Mai o se fosse giusto coinvolgerla. Era chiaramente innervosita dalla situazione.

“Vederlo con i miei occhi è… spaventoso.”
“La Sindrome?”

“No, prima che quello accadesse… il modo in cui l’intera scuola la trattava come fosse aria.”
“Già.”
“E il modo in cui leggo la situazione, accettare quella condizione come dovrebbe essere. Non ne ho mai dubitato.”
“Funziona in primis perché nessuno lo mette in dubbio. Se qualcuno sente di star facendo qualcosa di sbagliato, mi auguro che tutta questa giostra finisca.”
Sapendo che fosse sbagliato, capendo quando terribile fosse, rendendosi conto di quanto fossero ridicoli, comprendendo quanto si stessero comportando da stronzi… non molte persone fanno questo e poi dicono fieramente: “Stiamo ignorando la nostra compagna!” Chiunque fosse capace di farlo era fuori di testa.

Come il capo della banda che prendeva in giro Kaede. Lei è stata a dire per tutto il tempo: “Cosa c’è di sbagliato?”
Riguardo Mai, la causa originale risiedeva in se stessa. C’era un momento in cui decideva di mescolarsi con l’aria, e quelli intorno a lei reagivano a quello, accettandolo.

Il suo desiderio di scomparire l’ha fatta diventare aria — ma solo dopo che lei iniziò ad entrare nella parte.

“Ma questo è anche il motivo per cui la scuola è il nostro migliore indizio” disse Rio, come se stesse leggendo la sua mente. “Per Sakurajima, questa scuola è la scatola, e lei è il gatto al suo interno.”
“……”
Nessuno guardava Mai. Nessuno cercava di guardarla. Non veniva mai vista da nessuno, perciò la sua esistenza era indeterminata… di conseguenza, stava scomparendo.

Non era sparita — ma era come se lo fosse. Se nessuno riusciva a percepire la sua presenza, era come se lei non esistesse per niente.

Un brivido gli corse lungo la schiena.

Sapeva esattamente cosa Rio aveva intenzione di dire.

La causa si trovava lì a scuola, nella coscienza collettiva degli studenti. Il loro disinteresse per lei era ora totalmente inconscio. Lei non veniva impressa nemmeno nelle loro menti. Rio diceva che questi sentimenti — se si possono chiamare così — erano la causa scatenante della Sindrome dell’Adolescenza di Mai.

Come potevi cambiare i sentimenti inconsci delle persone? Loro non erano nemmeno a conoscenza di questo problema. Non sapevano nemmeno che il problema fosse un problema. E c’erano quasi un migliaio di studenti così al Minegahara.

Come poteva far cambiare il loro disinteresse in interesse?

“……”
Era come se stesse guardando nell’oscurità, e che stesse per essere risucchiato da essa.

Questa era la vera natura della sua paura. La vera causa. La vera forma del nemico che Sakuta doveva sconfiggere. L’aria che non riesce a vedere ma sa che esiste. La stessa aria che, non tanto tempo fa, Sakuta definì come insensata da combattere.

“Ma se fosse la scuola che ha iniziato tutto, perché allora le persone che non hanno nulla a che fare con la scuola non riescono a vedere Mai?”

“Forse Sakurajima ha portato quello che accadeva a scuola nel mondo esterno.”
Doveva ammettere che poteva essere così, entrambi quando si incontrarono alla biblioteca di Shonandai o quando lei si recò da sola all’acquario di Enoshima. Mai si comportava come l’aria, e lui aveva il presentimento che lei stesse causando tutto questo da sola.

Ma non era vero adesso.

Mai non voleva più sparire. Lui ne era sicuro. Aveva deciso di tornare a lavoro, e nonostante lei cercò di farlo passare per uno scherzo…

Lei chiese:

——“Se iniziassi a tremare come una foglia e, tra i miei singhiozzi, dicessi: ‘Non voglio sparire!’ cosa faresti?”

Disse:

——“Non quando ho appena conosciuto questo ragazzo che mi ha fatto venire voglia di tornare a scuola.”

Era chiaramente seria riguardo queste due frasi.

“Anche se non l’avesse sparso lei stessa, questo tipo di comportamento è contagioso” disse Rio. “Tutti sono tenuti a obbedire regole non scritte, e le informazioni possono raggiungere l’altro capo del mondo in questione di secondi. Il mondo in cui viviamo lo rende possibile.”
Se avesse provato a discuterne, lui era sicuro di trovare qualcosa.

Rio stessa sapeva che la sua spiegazione era piena di falle. Ma una parte di lui capiva che era la natura dei tempi in cui vivevano. E i suoi benefici… tornavano degli svantaggi.

“……”
Perciò fu Sakuta a non trovarsi in grado di controbattere. Francamente, a questo punto, Sakuta non trovava il senso di discutere come possa aver fatto il fenomeno a diffondersi. La realtà davanti a loro era ciò che importava.

Quando lui non disse nulla…

“Tornando a noi…” Rio continuò con l’ultima parte della sua spiegazione. “Se la percezione e l’osservazione sono fondamentali, allora penso che abbia senso che il sonno — quando il conscio è inattivo — possa essere la causa scatenante della perdita della memoria.”
Mentre lui era sveglio, riusciva ancora a pensare a lei. Vederla. Ma nel momento in cui si addormentava, era impossibile essere coscienti di lei. L’abilità di percepire Mai era naturalmente indebolita. E nonostante la sua coscienza fosse stata spenta, lui sarebbe stato comunque affetto da questa anomalia.

“……”
Rabbrividì, pensando alla notte precedente. Se si fosse addormentato, avrebbe potuto dimenticare Mai…

Tornò a casa, masticando una gomma con caffeina. Bevve anche la sua prima bibita energetica. Una dolcezza particolare, sicuramente diversa dalle altre bevande zuccherate. Un leggero retrogusto di medicinale.

Sakuta non si aspettava chissà cosa, ma avvertì subito gli effetti. Era sveglio di nuovo, la sua mente lucida.

“Cosa bevi?” chiese Kaede, vedendolo buttare la bottiglia nel cestino. Erano già le undici. Kaede di solito era già a letto, e sembrava avere sonno. I suoi occhi erano semichiusi. Lui era quasi sicuro che la ragione per cui lei era ancora sveglia fosse perché non ritornò ieri sera.

“Non vado a dormire fino a quando non rimedierò per quello che mi sono persa ieri!” disse.

Così passò un po’ di tempo a parlare con lei. Soprattutto dei libri che ha letto.

Kaede iniziò a insistere che sarebbe rimasta in piedi tutta la notte, ma alla fine lei e il gatto si addormentarono sul divano prima di mezzanotte. Sakuta la sollevò e la portò in camera sua. L’interno era ricoperto di libri. Le mensole erano piene di libri, ciò che contenevano erano accatastati sul pavimento. Dovette farsi strada per arrivare al letto. La mise a letto, le disse: “Dormi bene”, le sistemò le coperte e spense la luce. Chiuse la porta delicatamente.

Sakuta andò in camera sua, buttando giù alcune compresse alla menta. Sentiva la sua bocca e il suo naso freschi.

Aveva qualcosa di cui occuparsi mentre la sua mente era ancora lucida.

Si sedette alla scrivania e aprì un quaderno. non stava cercando di mettersi a studiare. Gli esami di metà semestre iniziavano domani, perciò doveva ripassare almeno un pochino, ma i suoi voti erano un problema secondario.

In quel momento, doveva prepararsi al peggio.

Fece cliccare due volte la sua portamina e iniziò a scrivere.

Tutto quello che riusciva a ricordare delle tre settimane passate. Tutto da quando incontrò Mai per la prima volta.

Scrisse per tutta la notte.

——6 Maggio

Ho incontrato una coniglietta selvatica.

Era una senpai della scuola superiore Minegahara. La famosa Mai Sakurajima.

Questo è l’inizio. Ci siamo incontrati così. È impossibile che io me ne dimentichi.

Anche se dovessi dimenticarti — ricorda. Devi ricordarti, futuro me.

4

Tre giorni di esami, e il primo era già un disastro.

Non solo lui non studiò la notte prima, ma era la sua seconda notte insonne di fila, e non riusciva per niente a concentrarsi. Più cercava di ragionare, più il suo cervello si bloccava a metà domanda. La sua mente era vuota, lasciandolo lì a fissare il foglio di carta. I suoi occhi lo registrarono ma niente più di quello.

Quando il test finì, Sakuta diede un’occhiata nella classe a fianco, cercando Rio Futaba. Indossava il camice da laboratorio anche in classe, perciò era facile vederla. Lei lo vide alla porta, raccolse le sue cose, e si avvicinò a lui in corridoio.

“Ti ricordi?” chiese lui, nervoso.

“Eh? Ricordare cosa?” disse Rio, confusa.

“Allora lascia stare.”
“Beh, mi trovi nell’aula di scienze.”
“Bene.”
Salutò con la mano, e Rio se ne andò dall’altra parte, con il suo camice svolazzante. Sperava che lei si girasse e ammettesse di star scherzando, ma non ebbe molta fortuna. Svanì salendo le scale.

“La tua ipotesi era corretta” disse.

Dimenticandosi di Mai, Rio l’aveva dimostrato.

Ora Sakuta era rimasto l’unico.

Solo lui ricordava Mai. Solo lui poteva sentire la sua voce o vederla.

“Che sviluppo entusiasmante!” disse, cercando disperatamente di convertire le sue paure in motivazione.

Il giorno dopo era il 28 Maggio. Il secondo giorno di esami, e i suoi risultati non furono nulla di impressionante, come al solito. Ma a Sakuta non importava nulla.

Aveva sonno. Aveva solo sonno.

Ogni volta che batteva le palpebre, era tentato di non riaprirli più. Non dormiva dal loro appuntamento di domenica. Oggi era mercoledì. Il suo quarto giorno insonne.

Sakuta aveva ormai raggiunto il suo limite.

Aveva una costante nausea. Difatti aveva vomitato due volte. Da allora, sembrava come se ci fosse qualcosa nella sua gola. Era a pezzi. Il suo battito era irregolare e fin troppo forte. Aveva proprio una brutta cera. Yuuma sembrava preoccupato sul treno quella mattina. “Sembri uno zombie” disse.

L’unica sua salvezza era che aveva già cancellato i suoi orari di lavoro per gli esami. Non era proprio possibile fare un buon lavoro in quelle condizioni.

Le sue palpebre sembravano pesanti. Si rifiutavano di rimanere aperte. La luce del sole era tremenda. Non importa quante volte si fosse dato pizzicotti sulle gambe, sembrava proprio non svegliarsi. Nemmeno colpirsi con la matita faceva qualcosa.

“Sembri stanco” disse Mai sulla via di casa.

Continuava ad andare a scuola, anche se solo Sakuta poteva vederla. “Non ho niente di meglio da fare”  disse lei. Ma lui sapeva che doveva essere spaventata. Troppo spaventata da rimanere a casa da sola tutto il giorno. Una parte di lei doveva ancora essere speranzosa che se avesse continuato ad andare a scuola, le cose sarebbero tornate alla normalità.

“Io sono sempre così durante gli esami. Faccio le ore piccole.”

“È quello che ti meriti per non studiare con costanza.”
“Sembri una professoressa.”
“Beh, se insisti…”
“Mm?”
“Posso aiutarti a studiare.”

“Se fossimo nella stessa stanza, penserei solo al sesso, quindi meglio di no.”
“……”
Mai era allibita. Chiaramente, non si aspettava che lui potesse rifiutare.

“A-ah. Allora meglio così” disse.

“Ci vediamo domani.”
Si separarono davanti ai loro appartamenti.

Sakuta entrò nell’ascensore e tirò un sospiro di sollievo. Non aveva detto a Mai che non stava più dormendo. Sapeva che se l’avesse fatto, lei lo avrebbe costretto ad andare a dormire.

Non voleva che lei si preoccupasse, e aveva già deciso di arrivare fino in fondo di questa faccenda — non voleva che lei si sentisse responsabile.

A casa, Sakuta si sedette in soggiorno, con un libro di fisica aperto davanti a lui. Un libro che aveva preso in prestito da Rio quando tornò da Ogaki. Sperava gli desse qualche indizio su come risolvere tutto questo.

Era un libro di base sulla teoria quantistica. Ma anche così, il livello di difficoltà era così alto, che lui non riusciva proprio a comprenderlo. Passò tutto il giorno a leggerlo invece di studiare per gli esami, ma a malapena riusciva a girare pagina.

Voleva aiutare Mai. Era tutto ciò che lo faceva andare avanti.

Passò un’ora così. Kaede leggeva vicino a lui, e il suo stomaco iniziò a brontolare. Senza dire una parola, lui si alzò e iniziò a preparare la cena. Mangiarono insieme.

Sakuta guardò dall’altra parte del tavolo e si rese conto che Kaede stesse dicendo qualcosa. I suoi occhi lo registrarono, ma si dimenticò di rispondere.

“……”
“Pronto?”

“Oh, eh?”

Aveva troppo sonno per ragionare.

“Stai bene?”

“Esami” rispose, non sicuro fosse la scusa giusta.

“Non sforzarti troppo.”
“Sì, lo so.”
Ma non importava quanto fosse difficile, Sakuta non poteva permettersi di dormire.

Se lo avesse fatto, si sarebbe dimenticato di Mai.

Forse c’era una possibilità che non fosse così, ma la fortuna non era dalla sua parte.

In ogni caso, Sakuta doveva rimanere sveglio.

Lui e Kaede finirono di mangiare, e uscì per fare una passeggiata. Fece un salto di nuovo al negozio.

Rimanere seduto dopo aver mangiato era pericoloso. Anche solo rimanere in piedi gli faceva venire sonno. Aveva già schiacciato un pisolino in piedi alla Ferrovia Elettrica di Enoshima, con una mano che stringeva una maniglia in alto. Le sue gambe avevano ceduto, e riprese coscienza solo perché le sue ginocchia colpirono un signore davanti a lui. C’era mancato poco.

Al minimarket, comprò altre bevande energetiche. Quelle che costavano come una ciotola di carne di manzo. Ne stava bevendo troppe, e gli effetti svanivano poco a poco. Ancora peggio, il contraccolpo era tremendo. Due o tre ore dopo, aveva ancora più sonno di prima. Ma era sempre meglio di nulla.

Lasciò il negozio, rimettendo il suo portafogli nella tasca dei pantaloni.

Il vento gli accarezzava le guance. Sakuta si fermò. Qualcuno lo stava aspettando.

Venne inondato dal panico, come se fosse stato sorpreso a fare uno scherzo.

Gli scese una goccia di sudore.

“Che hai comprato?” chiese Mai. Portava dei vestiti normali, a gambe larghe, e le braccia conserte.

Cercò di trovare una scusa nonostante la sua mente stordita, ma nulla da fare. La mancanza di sonno l’aveva reso stupido.

“Uh… beh…”
Mai si avvicinò e gli prese la busta della spesa. Diede un’occhiata all’interno. “Sapevo che non stessi dormendo” lo rimproverò.

“……”

Pensava che se la fosse svignata, ma a quanto pare no. Sapeva che stava palesemente male. Sia Yuuma che Kaede se n’erano accorti. Era più strano se Mai non se ne fosse accorta.

“Pensavi di riuscire a nasconderlo?”

“Ci ho provato.”
“Sei un idiota! Non puoi continuare così per sempre.”
“Non riuscivo a pensare ad altra soluzione.”
Sembrava un bambino irritabile.

Sakuta sapeva che non poteva funzionale a lungo termine. Gli esseri umani hanno bisogno di dormire per vivere. E questo non risolveva di certo il problema. Ma anche sapendo che potrebbe essere una perdita di tempo… Questa perdita di tempo era la sua unica opzione.

Questo assurdo fenomeno stava facendo soffrire Mai. Non avevano trovato ancora un modo per fermarlo. Non sapevano se c’era effettivamente un modo per farlo.

Ma dovevano continuare a guardare. Sakuta non poteva dormire fino a quando non fosse andato fino in fondo. Anche se non avesse trovato una soluzione, non aveva alcuna intenzione di arrendersi e andare a dormire.

Voleva ricordarsi di Mai per più giorni possibili. Ogni minuto contava. Ogni secondo in cui rimaneva sveglio era un secondo in cui lei non era rimasta sola. Tutte queste notti insonni aveva lasciato il suo cervello da lumaca incapace di pensare ad altro.

“Guarda quanto sei pallido! Sei un idiota.”

“Concordo pienamente.”
“Andiamo a casa.”
Gli diede la busta indietro e si diressero verso i loro appartamenti. Non avendo la mente lucida, Sakuta si limitò a seguirla.

Erano le otto passate quando arrivarono.

Kaede deve essere andata a farsi un bagno. Riusciva a sentirla cantare allegramente dalla porta. Era una canzoncina di una pubblicità di un negozio di elettronica. Non durava molto, quindi ripeteva sempre la stessa strofa.

Sakuta entrò in camera sua ma rimase bloccato alla porta.

Mai era seduta su un cuscino nel bel mezzo della stanza, vicino ad un piccolo tavolo pieghevole che aveva messo lei stessa.

“Pensavo che venire nella stanza privata di un ragazzo a quest’ora, fosse come dirgli di poter fare quel che vuole.”
“Alle otto c’è ancora un po’ di sole.”
“Va bene. Ma perché sei qui?”

“Volevo tenerti compagnia.”
“In modo romantico?”
“No. E lo sai benissimo! Non ti farò chiudere occhio stanotte.”
“Sembra emozionante.”
“Se ti distrai, ti tiro una sberla.”
“Ah, facciamo proprio sul serio.”

Mai sembrava si stesse divertendo. Quanti schiaffi pensava di dargli? Lui sperava con tutto il cuore che non diventasse un nuovo fetish.

“Dai, siediti!” insistette Mai, colpendo il tappeto.

Fece come gli venne detto.

“Dov’è il tuo quaderno? Gli appunti?”

“A che servono?”

“Abbiamo ancora un altro giorno di esami. Ti aiuto a studiare.”
“Engh… Sto bene così.”
Non avrebbe mai ricordato nulla in queste condizioni. Semmai gli avrebbe fatto venire più sonno.

“Sei stata sempre una studiosa?” chiese lui.

“Ero troppo impegnata con il lavoro il primo anno, ma dall’inizio del secondo non ho mai preso meno di otto.”
I voti del Minegahara arrivavano fino a dieci. Uno era il voto più basso e dieci era il più alto. Perciò avere tutti i voti al di sopra dell’otto era notevole.

“Che disciplina accademica inaspettata.”
“Studio quando ho tempo.”
“La maggior parte delle persone perdono tempo ad ogni occasione.”

“Concentrati e basta! Non sono tutto quello che importa per te.”
“Adesso lo sei.”
Se non fosse stato così, non farebbe qualcosa di estenuante come rinunciare a dormire.

“Anche se riesci a risolvere i miei problemi, tutto quello che ti rimarrà saranno questo cumulo di fogli con delle risposte.”

“Sentire qualcosa di così logico mi fa venire sonno.”
“Tu studierai.”
“Ma non ho per nieeente la motivazione.”
“Anche se sono io che ti faccio da tutor?”

“Se indossassi il costume da coniglietta, forse sarei più motivato.”
“Fai così con tutti, Sakuta?”

“Parlo così solo con te, Mai.”

“Non mi pare una bella cosa.”
Lui sbadigliò. Le lacrime intorno ai suoi occhi bruciavano.

“E se mettessi il costume da coniglietta, penserai solamente al sesso. E non imparerai nulla così.”
“Non avevo pensato a quello.”
In realtà non pensava proprio per niente. Sakuta stava solo dicendo le cose che gli venivano in mente al momento.

“E se facessimo così?” disse Mai. “Se ottieni cento punti in un test, ti darò una ricompensa.”

Questa sì che era una proposta allettante. Si avvicinò di più.

“Si tratta della leggendaria offerta ‘farò qualsiasi cosa’?”

“Sì, sì. ‘Qualsiasi cosa’” disse Mai, chiaramente convinta che fosse impossibile.

“Ho Matematica II e Giapponese Moderno domani” disse lui, guardando il suo orario. Iniziò a sentirsi un po’ più vigile. “Potrei riuscire a prendere cento a Matematica II.”
“Cosa? Ma, quindi, sei tipo… bravo?” chiese Mai, spaventata.

“Nah. Sono solo bravo in matematica.”
Questo era il motivo per cui doveva abbandonare Giapponese Moderno e focalizzarsi di più su Matematica II. Con giapponese, c’erano troppe cose soggettive o modi differenti per perdere punti che era molto difficile puntare ad un punteggio perfetto. Ma con Matematica II, le risposte erano oggettive, e fino a quando dimostrava il suo lavoro, aveva una grande possibilità di evitare qualsiasi deduzione bizzarra. Sembrava fattibile prendere un buon voto.

Aprì subito il suo libro di testo.

Ma Mai glielo strappò di mano.

“È stata una tua idea! Perché mi blocchi?”

“Potrei aver detto ‘qualsiasi cosa’, ma non ho intenzione di fare qualsiasi cosa” disse lei, intimidendolo.

“Non ti chiederei mai di fare qualcosa di folle.”
“Davvero?”

“Nulla di peggio di ‘Fai il bagno con me.’”

“Hai già superato il limite.”
“Aww.”
“D-dovrebbe essere ovvio!”

“Anche se stiamo in costume?”

“Il costume nella vasca da bagno? Perché mai dovresti solo pensare a qualcosa di così losco?”

Il suo sguardo sprezzante era come dei pugnali. Questo lo fece svegliare un po’ di più.

“Che ne pensi se mi addormentassi sulle tue ginocchia mentre indossi il costume da coniglietta?”

“Perché sembra che per te sia che questa sia un’idea migliore?”

Lui pensava di sì, ma Mai non era d’accordo.

“E invece quell’appuntamento a Kamakura che non abbiamo avuto modo di fare?”

Questo suggerimento sembrava banale rispetto agli altri, Mai venne presa alla sprovvista.

“Va bene, ma… Sei sicuro sia quello che vuoi?”

“Volevi qualcosa di più spinto?”

“Non è quello che ho detto!”

Allungò una mano e gli diede un pizzicotto sulla guancia, molto forte.

“Ow! Sono sveglio!”

“Hai una bella faccia tosta per la tua età.”
Per le due ore seguenti, lei rimase con lui, aiutandolo a studiare.

Ma solo Giapponese Moderno. Si rifiutò di fargli studiare Matematica II.

“‘Non c’è nessuno intorno a te che possa essere certo del tuo futuro.’ ‘Il tuo futuro non è garantito.’ Entrambe le parole si pronunciano hosho ma hanno un kanji diverso.”
“Professoressa, sento un po’ di rancore in questo esempio.”
“Scrivi e basta!” ordinò Mai, battendo il quaderno davanti a lui.

Sakuta scrisse due serie di kanji, cioè i caratteri cinesi che venivano usati nella scrittura in giapponese.

“Quindi, quale coppia viene usata per dire ‘Nessuno può essere certo del tuo futuro’?”

“Allora…”

In realtà non sapeva la differenza, perciò spostò il suo dito lungo una delle due coppie, vedendo la reazione di Mai, sperando di dedurre quale fosse quella giusta dalla sua espressione.

Ma Mai aveva già capito tutto.

Lo guardava dritto negli occhi, sorridendo gradevolmente. Anche i suoi occhi sorridevano, il che rendeva tutto terrificante.

“Puoi anche mostrarmi ‘La sicurezza di Sakuta non è garantita se riesce a barare su un’altra domanda.”
“Scusa. Ho bisogno di un indizio.”
Essere certo significa far accadere un certo qualcosa, mentre garantire significa convincere qualcuno che accadrà qualcosa.”
“Allora ‘Posso essere certo che Mai avrà un futuro felice.’ E ‘Possiamo essere garantiti che vivremo felici e contenti.’”

“Non cambiare le frasi!” Arrotolò il libro e glielo sbatté in testa. “Non è carino.”

Sembrava avesse azzeccato la risposta, almeno. Se lo vedesse sul test, potrebbe indovinare la risposta. Sia la risposta che il volto di Mai erano impressi nella sua memoria.

Mai continuava a dargli degli esempi, e Sakuta continuava a studiare i kanji, sembrava che stesse giocando ad un gioco.

Ma non poteva mantenere quell’attenzione per sempre.

Dopo che finirono la sezione sugli omonimi, Sakuta si alzò in piedi.

“Vado a prendere qualcosa da bere” disse. “Va bene il caffè? È solo istantaneo.”
“Mm.”
Lei girava le pagine del libro dei kanji, cercando un altro esercizio da dargli.

Lui la lasciò in camera sua, andò in cucina, e accese il bollitore.

Mentre aspettava, guardò verso la cameretta di Kaede. Le luci erano spente. Stava dormendo profondamente.

Tornò in camera sua con due tazze di caffè istantaneo.

Mise una tazza di fronte a Mai.

“Latte e zucchero?” chiese.

L’obiettivo di Sakuta era quello di svegliarsi, perciò lo prendeva amaro e non pensò di chiederle come lo volesse.

“Vado a prenderli.”
Tornò con un pacco di zucchero, del latte e un cucchiaino.

Mai stava ancora sfogliando il libro dei kanji.

“Ecco a te, Mai.”
“Grazie.”
Prese lo zucchero e il latte e li mise nella sua tazza. Iniziò a girare lentamente.

Queste gesta gli parvero chiaramente femminili, e Sakuta assaporò quella vista mentre sorseggiava il suo caffè. Il liquido amaro e nero colpì il suo stomaco. Il suo calore sembrava come un sollievo.

“Tua sorella?”

“A letto.”
Kaede era uscita un’ora prima, ha visto Sakuta che studiava e gli augurò buona fortuna.

“Sei figlia unica?” chiese lui. Sembrava il tipo.

“No” rispose Mai, tenendo la tazza tra le mani.

“Oh?”

“Dopo che mio padre lasciò mia madre, si è risposato. Ha avuto una bambina con questa qui, quindi… Ho una sorellastra.”
“È carina?”

“Non quanto me” disse Mai, come se fosse ovvia la cosa.

“Wow, che brutalità.”

La sua mente iniziava ad annebbiarsi.

Gli girava la testa. Le sue palpebre sembravano ancora più pesanti.

“Ti piacerebbe una ragazza che sa che è più carina ma dice in giro che le altre ragazze sono comunque carine?”

“In effetti è un po’ brutto.”
“Bruttissimo.”
“Ma… Tua sorella—?”

Non lasciò il discorso in sospeso di proposito. L’altra metà della frase non riuscì ad uscirgli di bocca.

Sembrava come se si stesse staccando dal suo corpo.

Cazzo, pensò lui. Ma non riuscì a fermarlo.

Afferrò il bordo del tavolo per avere un sostegno.

I suoi occhi erano mezzi chiusi.

“Bene. Ha funzionato.”
Alzò gli occhi e vide il volto di Mai. Lo guardava con gentilezza, ma c’era un briciolo di paura dietro e i suoi occhi luccicavano.

“Mai… Cosa…?”

Le sue dita sottili tenevano qualcosa.

Una bottiglietta. L’etichetta diceva SONNIFERO.

“Perché…?” Non riusciva nemmeno a bisbigliare.

“Grazie per averci provato, Sakuta.”
“Posso… ancora…”
Non riusciva nemmeno a sedersi.

“Hai fatto tantissimo per me.”
“…No, io…”

“Hai fatto abbastanza.”
Lei allungò una mano e accarezzò la sua guancia. Era calda. Confortante. E faceva il solletico. Ma anche quella sensazione stava svanendo lentamente.

“No… non ho…”
Non era sicuro che le parole gli stessero uscendo di bocca.

“Ho iniziato questa cosa da sola. Anche se tu mi dimentichi, starò bene.”
Adesso anche Mai era sfocata. La sua mano era ancora sulla guancia. Le sue dita gli accarezzavano le orecchie.

“Grazie comunque per tutto.”
Non aveva fatto nulla che fosse degno della sua gratitudine.

“E… Scusami.”
Non aveva fatto nulla di cui doveva scusarsi.

“Riposati ora.”
Ora era la sua voce che lo guidava. Gli occhi di Sakuta si chiusero. La sua coscienza andò a dormire.

“Buonanotte, Sakuta.”
Un sonno molto, molto profondo…